Apicoltura Susanna De Rose
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Mondoapi

Gli effetti dei pesticidi sulle api e sull'uomo

Interessante video sugli effetti disastrosi che hanno i pesticidi sulle api e sulle perso , da seguire con attenzione tutta la narrazione del video.


Guarda il video su youtube     https://www.youtube.com/watch?v=n2SSdfAhk-o




Amministratori a favore delle api e dell'ambiente


Un’ordinanza che bandisce i pesticidi, in difesa delle api e degli insetti pronubi. Il sindaco di Vernole,paese del Salento, Luca De Carlo, mette al bando l’utilizzo insetticidi con uno specifico atto amministrativo nel segno della salvaguardia del 

territorio e dell’interesse per la conservazione dell’ambiente naturale, dell’ecosistema e dell’agricoltura.

Nel testo dell’ordinanza, si specifica il fondamentale ruolo a vantaggio della produzione agricola di insetti impollinatori e la rarefazione degli stessi, dando centralità ad un’idea di sviluppo sostenibile dell’apicoltura, come da legge regionale 45 del 2004.

Pertanto si ordina di non effettuare trattamenti su colture arboree, erbacee, ornamentali e spontanee a base di prodotti fitosanitari, inclusi gli erbicidi durante il periodo di fioritura; di eseguire, quindi, unicamente interventi agronomici di trinciatura delle infestanti o aratura del terreno nel caso di manti erbosi in fioritura. 


"AGROFARMACI" dannosi per le api

AGROFARMACI, FITOFARMACI, ANTIPARASSITARI o PESTICIDI? 
Ultimamente il termine fitofarmaci è stato sostituito con quello di agrofarmaci. Sono chiamati anche antiparassitari (un antiparassitario è un prodotto chimico impiegato in agricoltura per controllare, respingere, attirare ed uccidere parassiti) o all'inglese pesticidi, ma il termine "pesticida" è più generico dell'espressione "fitofarmaco" poiché ingloba oltre ai prodotti destinati alla protezione delle piante, anche i prodotti ad uso veterinario destinati a proteggere gli animali domestici e da compagnia (ad esempio, il collare antipulci per cani). Il termine più corretto sarebbe BIOCIDA.

Nel "gergo" comune utilizzato dai contadini sovente vengono chiamati "veleni" o "medicine" a seconda della sensibilità soggettiva... Una volta  si parlava generalmente di miscele, irrorazioni venefiche, veleni; insomma si era coscienti di non saper bene cosa si maneggiasse, ma se ne intuiva già il potenziale rischio. 
Si è deciso di usare il termine Fitofarmaci, perché con la sua asettica ufficialità sottolinea la “natura farmacologica” di queste sostanze, contribuendo così a mettere sull’avviso i potenziali utilizzatori. Un farmaco dovrebbe essere venduto da specialisti ed ormai quasi solo dietro presentazione di una prescrizione medica. Un farmaco, lo sappiamo tutti, è un “veleno” da prendere solo in casi specifici ed a dosi precise. Un farmaco, proprio per la sua natura di sostanza estranea, presenta innumerevoli controindicazioni legate agli effetti collaterali. E questo è tanto vero che assumere un farmaco “è scegliere il male minore” oppure “non serve a stare bene, ma solo meno male”.
Un farmaco è tanto pericoloso che non può essere smaltito nei normali cassonetti destinati ai rifiuti urbani, bensì in appositi contenitori disseminati nelle farmacie.
Un farmaco infine non viene mai perso di vista dalle autorità competenti. O almeno così dovrebbe essere. Infatti dopo i rigidi test per la sua messa in commercio, si innesca un meccanismo di controllo che osserva e registra i suoi effetti sulla popolazione: è la Farmaco Vigilanza, garanzia istituzionale per la salute dei cittadini. Per tutti i farmaci dovrebbe accadere lo stesso. Anche per i Fitofarmaci.

Elencarli sarebbe comunque lunghissimo, ci limiteremo qui a descrivere quelli attualmente più in uso nel nostro territorio, sulle principali colture.

I fitofarmaci oltre ad essere utilizzati quali mezzi tecnici di protezione in pieno campo e/o nella conservazione dei prodotti vegetali (in post-raccolta), trovano impiego anche come fisiofarmaci, per influire sui processi vitali dei vegetali (fitoregolatori o biostimolanti). 
In relazione ai loro effetti sono distinti in:

• Anticrittogamici o Fungicidi 
• Battericidi 
• Insetticidi 
• Acaricidi 
• Nematocidi 
• Rodenticidi 
• Diserbanti 
• Fumiganti 
• Fitoregolatori o Biostimolanti 
• Ausiliari 
• Altri 

Sono presenti in commercio sottoforma di preparati commerciali o formulati (oltre 4000 formulazioni) contenenti miscele o soluzioni composte da una o più sostanze attive (quelle utilizzate sono più di 300), e da alcuni coformulanti che ne migliorano le caratteristiche di solubilità, adesività, persistenza, ecc... La sostanza attiva, o principio attivo (s.a. o p.a.), è quella molecola chimica, o microrganismo antagonista (compresi i virus), che esercita un'azione generale o specifica sugli organismi nocivi o sulle piante infestanti. 


Utilizzo ed esposizione

Circa il 40% dei fitofarmaci prodotti nel mondo viene impiegato nel Nord America, il 25% in Europa occidentale ed il resto in altri continenti. In Italia viene utilizzato circa il 2-3% della produzione mondiale e l’uso è regolamentato da numerose leggi al fine di ridurne al minimo gli effetti nocivi sull’uomo, sugli animali, sugli organismi utili e sull’ambiente.

L’esposizione ai fitofarmaci può essere: 
– diretta: per chi li produce e per chi li usa nelle operazioni agricole; 
– indiretta: per chi vive o frequenta gli ambienti in cui vengono utilizzati; 
– alimentare: a cui sono potenzialmente tutti esposti. 

Per ridurre il rischio di esposizione nelle fasi di produzione è necessaria una corretta progettazione degli impianti, la messa in atto di sistemi di aspirazione o ventilazione, l'uso di guanti, tute, occhiali ed altri mezzi protettivi individuali, il controllo sanitario ed il monitoraggio biologico dei lavoratori esposti. Durante la manipolazione di tali sostanze, i fattori che maggiormente favoriscono il pericolo di intossicazione sono:

a) l’inconsapevolezza degli agricoltori dei rischi inerenti i prodotti che usano;

b) l’assenza, nelle aziende, di un locale adibito specificamente a deposito di fitifarmaci; 
c) la mancanza, a volte, di una adeguata etichettatura; 
d) il mancato utilizzo di mezzi di protezione durante la preparazione di miscele e l'irrorazione. 
L’esposizione alimentare spesso viene considerata una via di esposizione meno pericolosa sia per la regolamentazione vigente sia per le più basse concentazioni dei principi attivi sugli alimenti al momento del consumo, ma potenzialmente può interessare tutti ed avere quindi ripercussioni su più vasta scala e a lungo termine. 

Il rischio salutistico deriva dall’uso troppo spesso sistematico, eccessivo e/o indiscriminato di prodotti fitosanitari e dal mancato rispetto dei tempi di carenza, atteggiamenti responsabili della presenza di residui di sotanze chimiche sia nell’ambiente che nelle derrate alimentari e quindi della loro introduzione nell’alimentazione animale e umana. 

I rischi correlati all’alimentazione sono essenzialmente di tipo cronico. La tossicità cronica deriva infatti da una esposizione prolungata a quantità minime di sostanze tossiche Gli effetti su animali a sangue caldo e sull’uomo sono principalmente di tre tipi: 

1. mutageni, se producono alterazioni nel patrimonio genetico; 
2. cancerogeni, quando si producono dei ceppi anomali di cellule a seguito di alterazioni delle stesse; 
3. teratogeni, quando le alterazioni riguardano l’embrione o il feto.

Ormai queste sostanze fanno parte integrante della nostra dieta e la loro presenza, anche se inferiore ai limiti fissati per legge, rappresenta comunque sempre un rischio. Il consumatore è tutelato dall’applicazione della cosiddetta dose giornaliera accettabile (DGA o ADI, Acceptable Daily Intake) che rappresenta la quantità di una sostanza chimica che ingerita ogni giorno per tutta la vita non arreca rischi apprezzabili alla salute.

Tuttavia l’attuale legislazione presenta comunque dei limiti, in quanto nel determinare la DGA non tiene in considerazione l’eventuale contemporanea assunzione di più alimenti contaminati dalle stesse sostanze che sommandosi possono raggiungere livelli superiori a quelli della dose giornaliera accettabile, né l’assunzione contemporanea di numerose sostanze tossiche chimiche, anche in quantità inferiori alle relative dosi giornaliere accettabili, ma comunque in grado di potenziare l’effetto tossico delle singole o determinare effetti non prevedibili. 

Classificazione

La determinazione della pericolosità di fitofarmaci è basata sulla cosiddetta tossicità acuta, cioè sull’effetto letale che la sostanza provoca su animali da esperimento (ratti e conigli). Alle cavie viene somministrato il prodotto tossico attraverso varie vie (orale, dermale, inalatoria, ecc.), a dosi diverse per definire la dose capace di provocare la morte del 50% degli individui sottoposti all’esperimento. Si identifica così la cosiddetta dose letale media indicata con le sigle: 

• (DL50) espressa in milligrammi di p.a. per Kg di peso corporeo (mg/Kg); 
• (CL50) espressa in milligrammi di p.a. per litro di aria (mg/l); 

Quanto minore è il valore tanto maggiore è la tossicità del prodotto. Con questo criterio i fitofarmaci sono collocati in due classi tossicologiche: 

• 1a classe per i principi attivi molto tossici o tossici il cui impiego ed acquisto, insieme a quelli della II classe, è consentito esclusivamente al personale qualificato munito del patentino di cui all'art. 23 del D.P.R. 3 agosto 1968, n. 1255;

• 2a classe per i principi attivi nocivi; gli irritanti e le altre sostanze la cui tossicità non è rilevante (esenti da classificazione) fanno parte della ex III e IV classe tossicologica, così come previsto dal succitato D.P.R. n. 1255/68.

I prodotti appartenenti alla 1a classe sono contraddistinti da un simbolo recante un teschio su ossa incrociate con la scritta “molto tossico” o “tossico” e quelli appartenenti alla 2a classe sono contraddistinti da una croce di S. Andrea con la scritta “nocivo”.


Commercializzazione 

I prodotti fitosanitari possono essere immessi in commercio solo se confezionati in involucri o imballaggi chiusi non manomissibili. Le etichette, inoltre, autorizzate dal Ministero della Sanità, devono riportare le seguenti indicazioni: 

– il nome del formulato commerciale eventualmente con ®, se il marchio è registrato; 
– l'attività esplicata dalla sostanza attiva sul bersaglio (insetticida, fungicida, diserbante, ecc.) ed il tipo di formulazione (polvere bagnabile, liquido emulsionabile, ecc.) con cui si presenta il prodotto, accompagnato eventualmente da frasi caratterizzanti il meccanismo d'azione (sistemico, citotropico, contatto, ecc.) nonché le colture cui è destinato e gli organismi nocivi da combattere; 

– la composizione: titolo espresso in grammi di una o più s.a. presenti nel formulato, coformulanti (disperdenti, bagnanti, adesivanti, ecc.);

– le frasi di rischio: tipo “nocivo per inalazione, ingestione e contatto con la pelle”, “irritante”, “altamente tossico”, ecc. a seconda della classe tossicologica di appartenenza. Sempre nel campo relativo alle frasi di rischio sono riportati consigli di prudenza del tipo "Attenzione manipolare con prudenza" e altre frasi quali "Conservare fuori dalla portata dei "bambini", "Evitare il contatto con gli occhi e con la pelle", ecc.;

– la sede legale della ditta produttrice con la relativa denominazione o il titolare della registrazione; 

– gli stabilimenti od officine di produzione; 
– numero e data di registrazione del Ministero della sanità con l'eventuale data di scadenza dell'autorizzazione; 

– quantità netta del preparato con le eventuali altre taglie autorizzate; 
– numero di partita; 
– frase indicante che il contenitore non può essere più riutilizzato. 
Sulla faccia speculare dell'etichetta o nel foglio illustrativo allegato, vengono riportate le norme precauzionali (conservare la confezione ben chiusa, non operare controvento, ecc.) e le informazioni per il medico.


Dosi e modalità di impiego

Nel campo visivo relativo alle dosi di impiego ed al settore cui il prodotto è destinato di solito vengono riportate le frasi: "il prodotto è consigliato per ...........", "si impiega alle dosi di .......", "si impiega sulle seguenti colture secondo le modalità prescritte". 
Nello stesso campo sono riportate anche note relative alla compatibilità con gli altri antiparassitari presenti in commercio e alla fitotossicità specificando in quale fase fisiologica della pianta non va effettuato il trattamento e su quale coltura se ne sconsiglia l'uso.

Vengono inoltre riportate in etichetta notizie utili per l'agricoltore relative a: 
– la persistenza agronomica della s.a. intesa come arco temporale in cui la stessa esplica una efficace attività fitoiatrica; 

– la persistenza ambientale, ossia il tempo di permanenza dei principi attivi o dei suoi metaboliti nel terreno e sui tessuti vegetali, ed i relativi meccanismi di degradazione (microbiologici, chimici, fotochimici), indicandone altresì la mobilità e la capacità di percolamento nel suolo; 

– la nocività, intesa oltre che per gli effetti sugli organismi utili tipo gli insetti impollinatori (api, bombus, ecc.) e l'entomofauna antagonista (insetti utili), anche per la pericolosità che hanno dette sostanze sull'ambiente qualora pesci, fauna selvatica, animali domestici, venissero esposti alla contaminazione del fitofarmaco descritto. Le altre notizie importanti presenti sull'etichetta riguardano:

– l'intervallo di sicurezza o di carenza ossia il periodo di tempo espresso in giorni di sospensione dei trattamenti necessari affinché si trovino sul raccolto tracce in ppm di p.a. o suoi metaboliti inferiori al limite di tolleranza;

– le norme per lo smaltimento del prodotto e del suo imballaggio; 

– la frase tipo "da non vendersi sfuso". 


Firma anche tu la petizione su Avaaz: Vietare immediatamente l'uso dei neonicotinoidi


tratto da: 
- Centro Studi per l'Analisi e la Valutazione del Rischio Alimentare - Roma
- API E FITOFARMACI: UNA CONVIVENZA POSSIBILE, di Marco Accorti - Istituto Sperimentale di Zoologia Agraria Cascine del Riccio, Firenze.


LE API E L'UOMO

L’alleanza tra uomo e ape è antica quanto l’agricoltura: 9.000 anni fa i primi coltivatori del Neolitico avevano già iniziato a sfruttare la cera e il miele prodotti da questi insetti simbolo di operosità. Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Università di Bristol, analizzando i residui organici presenti su migliaia di cocci emersi da 150 scavi archeologici in Europa e lungo le coste del Mediterraneo: i risultati dello studio, pubblicati su Nature, dimostrano che le tracce più antiche – trovate in Turchia – risalgono al VII millennio avanti Cristo.

«Il motivo principale per cui sfruttare le api doveva essere il miele, un dolcificante piuttosto raro per gli uomini preistorici», spiega la coordinatrice dello studio, Melanie Roffet-Salque. «Tuttavia – aggiunge la ricercatrice – anche la cera poteva essere usata per motivi rituali, cosmetici, medicinali o tecnologici, ad esempio per rendere impermeabile il vasellame di ceramica». Che miele e cera d’api fossero apprezzati nell’antichità lo si era già capito osservando gli affreschi delle piramidi egizie, che rappresentano scene legate all’apicoltura, così come alcuni dipinti preistorici che ritraggono alcuni ‘cacciatorì di miele in azione. La prova definitiva è arrivata analizzando le tracce di cera rimaste intrappolate in oltre 6.000 frammenti di vasellame di ceramica: queste ‘improntè chimiche, costituite da residui lipidici ben conservati nel tempo, hanno permesso di retrodatare l’antica alleanza tra uomo e ape.

È così emerso come nel Neolitico lo sfruttamento dei prodotti delle api fosse una pratica estremamente diffusa nel Nord Africa, in Medio Oriente e nell’Europa centro-meridionale: nessuna traccia di cera è stata invece ritrovata oltre il 57/o parallelo nord (in Scozia e Scandinavia), dove il clima non era probabilmente adatto ad ospitare questi insetti.

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